I casi della vita

I casi della vita- Breve racconto sulla periferia di Bologna di Ermanno Tarozzi

29 febbraio 2012 alle ore 19.56

I casi della vita

Breve racconto sulla periferia di Bologna di Ermanno Tarozzi

Ho intitolato questa “storia” in modo convenzionale “i casi della vita”.

Il racconto fa infatti riferimento alla tesi  di laurea di una  studentessa, Angela Langone ,di grande interesse, nata dall’idea di una ricerca sociologica sul borgo “Cassarini e Pallotti” noto anche per la denominazione che voleva attribuirgli il progettista del Comune di Bologna:“case degli umili”.

Si dà il caso che l’allora studentessa si sia rivolta  a me, quale coordinatore del Centro di documentazione dell’Acer, essendo alla ricerca di elementi conoscitivi sul borgo. Da lì la ricostruzione, nel testo, anche  di parte della mia  vita, vissuta, per molti anni, in prossimità di questo centro abitato e precisamente nel “cortile dei Montanari”, famiglia che 150 anni or sono  diede  l’origine   alla  celebre trattoria “Sandro al Navile”, tuttora esistente in Via del Sostegno a Bologna.  .

Il borgo, descritto nella tesi con molti particolari di grande interesse , ebbe origine nel 1932  in esecuzione della volontà testamentaria di Alessandro Cassarini, noto anche per la sua passione per la fotografia.

Come avvenne per molta parte degli abitanti dell’antico centro storico di Bologna, le case furono destinate a coloro  che dovettero lasciare la loro abitazione per le demolizioni dell’epoca: in questo caso per l’ampliamento dell’Ateneo della città. La caratteristica comune a questi cittadini, i cosiddetti “miseri”, era, in genere,  l’emarginazione sociale, caratterizzata anche da una assoluta povertà , che il regime fascista voleva comunque occultare tanto è vero  che il borgo- costituito da un blocco omogeneo e compatto di nove fabbricati- aveva la classica caratteristica di molti  caseggiati pubblici dell’epoca, quali le popolari e le popolarissime, costruiti con  un solo ingresso lungo il perimetro che ne delimitava il confine, in modo da sorvegliare le entrate e le uscite di quelli che venivano comunque  considerati potenziali “sovversivi”.

Foto disegno del complesso Cassarini e Pallotti

Cassarini e Pallotti. Disegno progettuale

Cassarini e Pallotti. Disegno progettuale

V’è da dire  però che, oltre alla pregevole fattura architettonica delle case,  lo spazio comune del borgo, vale a dire il cortile, era ben strutturato con servizi centrali ,  spazi a verde e per il gioco dei bambini, allora “benvenuti” per il  regime,   il cui capo assoluto predicava “se le culle sono vuote, la nazione invecchia e decade”. Con lo scioglimento dell’opera pia “pro domo miserorum” (denominata all’origine “Alessandro e Clodoveo Cassarini e Virginia Pallotti) si ebbe il passaggio degli immobili al comune di Bologna ed alla conseguente gestione dell’allora Istituto Autonomo Case Popolari (ora Acer).

Nel 1982, causa il degrado del borgo, su progetto del Comune di Bologna, lo IACP  cominciò la demolizione e la ricostruzione del complesso che sorge ora in Via Marco Polo, a ridosso del centro civico Lame,  edificato su di un’area lasciata libera dalla demolizione di  fabbricati altrettanto fatiscenti, al punto da essere denominati “le case dei topi”.

Il  nuovo insediamento  delle Cassarini e Pallotti in Via Marco Polo 21 a BolognaFeatured Image -- 26

Il periodo della mia vita che ricordo, divagando del tutto da quanto descritto dalla Langone , va dall’immediato dopoguerra  alla fine degli anni sessanta, in quanto, pur essendo andato ad abitare in seguito alla Bolognina , continuavo a frequentare la zona.

Io ho vissuto nelle vicinanze del borgo e  di altri insediamenti consimili in  uno spazio la cui ampiezza era definita da una distanza  facilmente percorribile nei vari sensi, durante le scorribande, in bicicletta, di noi “legére”( così si chiamavano in dialetto i ragazzi un po’ vivaci) senza dover ottenere speciali permessi dai genitori, vista la  contiguità delle varie zone.

Al centro di questa area,  individuata virtualmente, trovava  sede anche un campo sportivo, nella zona “Oca”, utilizzato da una squadra di calcio, l’ Ancora, di cui anche mio padre fu presidente.

Il campo sportivo , di misura regolamentare, faceva parte , prima della guerra, del complesso  della “casa del fascio”. Era circondato da un alto muro di cinta con accesso quasi sempre possibile per i ragazzi che vi giocavano interminabili partite di calcio fra  gruppi che prendevano il nome, come squadre, da quello dalle varie zone circostanti  dove abitavano: ecco quindi, “gli Umili” , “ i Topi grigi”, “la Cricca”, “i Ferrovieri” (nucleo abitato lungo l’attuale Via Zanardi). “l’Oca” (alla fine di Via della Grazia), “Pescarola”(località anch’essa lungo la Via Zanardi, nota anche per la presenza di una frequentatissima sala da ballo, la  “Luna rossa” e la  “Bertalia”, che fu anche una  frazione amministrativa del comune di Bologna. Più distante “la Noce”, con alcune botteghe e osterie alla buona (pane, salame e poco prosciutto perché troppo costoso) nei pressi  degli accessi al fiume Reno.

L’ Oca era perciò una sorta di baricentro della zona caratterizzata, oltre che dal fiore all’occhiello del campo sportivo, anche  dalla presenza della farmacia , di una fabbrica di lampadine, di un cinema (ora a luci rosse), l’Excelsior , che aveva anche una sede all’aperto, e da una “baracchina” che vendeva gelati (da 5 e da 10 lire, eccezionalmente 20 per i più ricchi).

A lato di questa zona , pur comprendendone alcune parti, c’era la Beverara, costituita da un nucleo abitato abbastanza autonomo per la presenza di una chiesa importante, San Bartolomeo, che fungeva da punto di aggregazione di molta della popolazione circostante, così come le scuole Bignami (asilo,materna ed elementari) .

Vicino alla chiesa c’era anche una bellissima fontana, una di quelle di ghisa, di cui  rimangono, purtroppo, pochissimi esemplari.

(foto della fontana,coperta nell’immagine , con ragazzi del posto fra cui Ermanno Tarozzi al centro con maglia a strisce)Fontana di Via della Beverara

Poco distante dalla chiesa, la zona del Battiferro, dove era collocata la fornace Galotti, per la produzione di mattoni , e una centrale elettrica dell’allora SBE  (società bolognese di elettricità) . La fornace Galotti era la più importante industria della zona dove vi lavoravano stabilmente un centinaio di fornaciai(in prevalenza donne, fra cui mia nonna) e molti barrocciai (bruzài in dialetto), che trasportavano i mattoni in varie zone di Bologna, con una intensissima attività nel periodo della ricostruzione  post bellica. L’insieme di queste località era nota a Bologna come la zona “fora dal Lam”, fuori delle Lame, il nome della via che ha origine in pieno centro storico e che terminava, allora, al Trebbo, ai confini del Comune di Bologna.

L’unico mezzo pubblico disponibile era il tram n.9  , con capolinea all’Oca e in via Montegrappa, di fronte all’attuale cinema Medica con un percorso  lungo Via delle Lame.

Non vi sembri strano se gli abitanti di queste zone, particolarmente i ragazzi come me , avevano una peculiarità come gruppi sociali, distinguibili fra loro,  per l’alto senso di appartenenza alla zone  in cui abitavano, pur essendo pochissimo distanti l’una dalle altre. La caratterizzazione era anche dovuta alla diversa  “scala sociale” dei gruppi  distinguibili, seppure in modo non meccanicistico, da un lato, dalla  classe di “ricchezza” cui appartenevano e, dall’altro, da una certa prepotenza dei più “poveri” che cercavano di rivalersi verso i più “ricchi” con un  atteggiamento, oserei dire, di superiorità  muscolare.  Sarebbe difficile formulare una vera classifica di “ricchezza” che, visti i tempi, sarebbe meglio definibile come “povertà” .

“Case dei Ferrovieri” in Via Zanardi a BolognaFerrovieri

Assumendo tuttavia come parametro la “ricchezza” si potrebbe partire dall’alto con quelli dell’Oca, per la presenza del forte nucleo di  chi abitava ai “Ferrovieri” (capo famiglia con lavoro e stipendio fisso) , per poi passare a Bertalia (con quota parte della Pescarola), per la sua consolidata caratteristica urban-borghese ( il medico condotto abitava ed esercitava  lì la sua attività in una bellissima villa), poi alla Beverara, con alcuni palazzi di pregevole fattura architettonica , abitati da impiegati pubblici e insegnanti, da proprietari di terreni e fabbricati. Andando in ordine collocherei poi la “Pescarola”, la “Noce”,  gli “Umili”, la “Cricca” e, buoni ultimi, i “Topi grigi” anche se il tipo di attività ( o espedienti) prevalentemente svolto, consistente   nel  raccattare roba vecchia  (si chiamavano solfanai) e rivenderla, dopo averla immagazzinata in baracche di lamiera, poteva contemplare anche l’acquisizione di un certo reddito “non dichiarato”, senza considerare, poi,  che alcune famiglie erano benestanti all’origine, pur essendo rimaste senza casa per la forte alluvione avvenuta nella zona di provenienza.

I rapporti sociali fra questi gruppi erano, secondo i miei ricordi, abbastanza difficili e  limitati. Oserei dire tante piccole caste. Le relazioni al loro interno erano però solidali, seppure con intensità diversa. Le famiglie si aiutavano fra loro al punto che in qualche caso , un ragazzo poteva quasi diventare figlio adottivo di altra famiglia per il tempo necessario per superare le difficoltà.

Anche gli amori erano spesso interni al gruppo e, quando avvenivano fidanzamenti “al di fuori”, se ne parlava con dovizia di particolari. Anche la “violenza” familiare, in alcuni gruppi, era all’ordine del giorno e, quasi sempre , ne facevano le spese le donne, visto che i mariti, non insolitamente, indugiavano sul vino. Una categoria specifica di costoro erano proprio i barrociai , che fermavano il carro con il cavallo davanti all’osteria prima di raggiungere il desco familiare. E’ nota la “storia” secondo cui lo stesso cavallo che trainava i carri fosse avvezzo  fermarsi davanti a una  o più osterie, prima ancora che lo volesse il padrone.

Non ho ricordo di violenze  sessuali, neppure per sentito dire, ma la conoscenza  ed il ricordo di alcuni  ragazzi cosiddetti illegittimi, mi fa pensare  che il tutto avvenisse  nella serena “tranquillità” dei campi che contornavano quelle zone  senza la presenza, allora, della celebre programma TV di oggi, “chi l’ha visto? “, che ne turbasse le vicissitudini.

Ermanno Tarozzi

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9 risposte a "I casi della vita"

  1. gianfranco ginestri di bologna ha detto:

    — BRAVO TAR — SONO GIN del Canzoniere delle LAME , il cui archivio-museo è attualmente nella biblioteca comunale delle LAME di fianco al Centro Civico LAME (praticamente nella zona dove tu hai fatto il monello da ragazzo) — CIAO !!! —

  2. Giuliana Castellari ha detto:

    Gentile dott. Tarozzi avrei bisogno di parlarle a proposito delle “Case degli umili”; le chiedo gentilmente se mi puo’ contattare.
    Grazie

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